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Ultimo Aggiornamento: 23/08/2020 16:53
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09/11/2014 15:20
 
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Dostoevskij - Delitto e castigo
Un romanzo incentrato nella Russia dell’800, tratteggiata con tinte grigie, scure. In quest’ambientazione, in cui pare che l’azione avanzi a rilento, interrotta dalle riflessioni e dall’introspezione del protagonista e dei suoi interlocutori, in cui si ha quasi la percezione che tutto il narrato avvenga quasi sempre in penombra, o di notte, mai davvero al chiaro del sole, emergono i personaggi, tratteggiati ciascuno con un suo spessore. Le virtù e la timidezza delle donne di buona educazione, la modestia e l’umiltà, ma anche l’orgoglio, pur quando accompagnate da condizioni di vita e sociali a dir poco condannate, pregiudicate. Una Russia dove a un popolino povero, affogato nella miseria, si contrappongono notabili, uomini di Stato e persone che possono sciorinare le loro fortune, beneficare, esser grand’uomini o invece depravati, o ancora aridi ed arroganti profittatori, pieni di sé e del proprio denaro/potere.

Il protagonista, Raskolnikòv (il cui nome richiama il concetto di anarchia), è un ragazzo (come l’amico di sempre, Rasumichin [ragione/ragionevole]), un ex studente universitario, poco più che ventenne, orgoglioso, brillante, incline alla stizza e a sfuggir irritabile e scorbutico gli altri, chiuso nelle sue pene interiori, nella sua ipocondria, nel malessere causato da una condizione economica misera, che gli ha fatto abbandonare l’Università e lo costringe a vivere in cenci in una stanzetta angusta e buia, col timore di incontrar la padrona che possa urlargli per i pigioni arretrati, col pensiero penoso delle condizioni e delle scelte cui son costrette, lontano da lui, le persone più care: la madre e la sorella.

In tal contesto, ecco quell’idea. L’idea che il mondo sia da sempre popolato da uomini comuni, che soggiacciono alle leggi e seguono il corso della Storia, e uomini non comuni, che la Storia, nel loro esser Grandi, la devono fare. La piegano a se, e nel farlo, nel perseguire la grandezza dei loro interessi e propositi, nel cambiare l’ordine e le stesse leggi, pur hanno travolto, e sparso sangue, e ucciso, e violato regole morali. Napoleone, non ha forse sparso sangue? E, vincendo, non è forse stato onorato, come uomo che ha raggiunto i suoi obiettivi, che ha ristabilito un nuovo potere? I governi forse non bombardano? E nel farlo non uccidono innocenti?
E nell’affermarsi, anche se questo comporta violazioni di regole e violenze, una volta vincenti, non sono forse legittimi, onorati, riconosciuti? Non sono Legge?
E perché dunque, se è vero che la Storia si fa a dispetto delle regole, e i grandi perseguono il loro percorso anche travolgendo innocenti, lui non potrebbe schiacciare solo un pidocchio? Se il mondo è popolato di tanti pidocchi, tanti esseri privi di utilità e virtù, lui non potrebbe tentare di riscattare sé e la sua famiglia a vita migliore, quando semplicemente ciò significasse schiacciarne uno? Se uccidere una vecchina, una usuraia priva di cuore e utilità, fosse il mezzo, il delitto necessario a porre il primo tassello verso una vita migliore, perché non potrebbe egli tentare di seguire le orme di un uomo non comune? Qualcuno degli uomini non comuni si è forse mai fermato, dinanzi a un dilemma del genere?

Le certezze vacillano nel momento in cui il protagonista è posto dinanzi alla sua coscienza. Un uomo non comune travolge, uccide, cambia le regole e tira dritto, verso la sua grandezza. Non ha paura, non si ferma per voltarsi indietro, per pentirsi delle sue azioni, per costituirsi, per farsi scrupoli. Non si sofferma su ciò che ha fatto, ma sul percorso che ha davanti e i suoi obiettivi, sul nuovo Ordine: in ciò egli è non comune. E può il protagonista fare altrettanto?
Andare oltre senza i morsi della coscienza, senza cadere in delirio o confusione, e spaurirsi per ciò che ha compiuto, per la grandezza delle sue conseguenze, per l’impatto che ciò ha in lui e tutt’intorno?

La morte di un uomo sotto un carro, e la sua generosa risolutezza ad aiutarne la famiglia, e con essa Sonia, sembra l‘evento decisivo che risolleva Raskolnikov, salvandolo da una resa certa, nella battaglia con se stesso, e riconsegnandolo al suo cammino verso il riscatto e l’onore.
Ma, presto, la coscienza ritorna alla carica, più cupa e forte che mai, fino alla resa dei conti finale.
In questo, nella scoperta di non poter appartenere agli uomini non comuni, con le sue paure, i dubbi, gli incubi, ecco il grande fallimento del tentativo. Ecco la deriva verso l’inevitabile castigo, cui non i grandi uomini, ma solo i pusillanimi son condannati.
Non per il crimine, che non è riconosciuto nemmeno come tale, ma per non aver saputo reggere al confronto con la grandezza.

Ritorna, in questo testo, un motivo comune in Dostoevskij: tutta la vita di un uomo svolta, all’improvviso, e prende un percorso fortunato in conseguenza di un singolo episodio, oppure allo stesso modo, con la stessa ineluttabile semplicità, cade in rovina.
Un giro di pallina, il caso, un evento fortunoso, un singolo tentativo riuscito o fallito e tutto è deciso. Ecco l’esaltazione, la gioia, la ricchezza, il potere e gli onori, oppure, a rovescio, disgrazia, disperazione e povertà. Ecco, ancora una volta, come un singolo evento, andato dritto oppure no, possa determinare la salvezza di un uomo, o la sua definitiva perdizione.
[Modificato da Paperino! 09/11/2014 15:52]





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